Le profezie che si autoavverano

Il termine profezia non si sposa propriamente ai contesti scientifici eppure in questo caso, tale vocabolo viene riportato per descrivere una condizione ben documentata che dimostra come, attraverso le interazioni, si rendano più probabili determinati esiti.            
Gli individui con il proprio comportamento possono involontariamente creare le condizioni affinché le proprie aspettative si realizzino. In uno studio, ormai diventato un classico della psicologia sociale, Rosenthal e Jacobson 1968 hanno dimostrato, in ambito scolastico, il fenomeno delle profezie che si autoavverano.
I due autori si sono chiesti in che modo le aspettative che gli insegnanti nutrono rispetto ai loro giovani allievi, possano concretamente incidere sullo sviluppo della capacità degli studenti stessi. Gli sperimentatori somministrarono un test d’intelligenza a tutti gli studenti coinvolti nel loro studio ed indicarono agli ignari insegnanti, alcuni specifici studenti che dai risultati del test apparivano essere altamente brillanti e promettenti.
In realtà tali “provetti” erano stati selezionati casualmente ed erano privi di doti particolari capaci di contraddistinguerli rispetto ai loro compagni di classe. Durante il corso dell’anno scolastico i ricercatori osservarono periodicamente le interazioni che si realizzavano all’interno della classe e al termine dell’anno, somministrarono nuovamente dei test di intelligenza: i risultati indicarono che i bambini etichettati inizialmente “come provetti” al termine dell’anno scolastico riportavano effettivamente punteggi più elevati. La profezia iniziale si era dunque tradotta in una evidente modificazione delle prestazioni di tali studenti. Gli insegnanti riferirono di non aver adottato condotte per avvantaggiare gli studenti etichettati come delle promesse, tuttavia l’analisi del loro comportamento in aula evidenziò il contrario dimostrando un trattamento privilegiato proprio favore dei provetti. Gli insegnanti dedicavano a questi studenti una maggiore attenzione e li incoraggiavano creando intorno ad essi clima emotivo di favore. Inoltre, ad essi davano i compiti più stimolanti fornendo feedback più articolati rispetto a quelli destinati al resto della classe. In sintesi, a causa delle aspettative indotte dagli sperimentatori, gli insegnanti misero in atto comportamenti selettivamente più favorevoli nei confronti degli studenti verso i quali nutrivano aspettative positive e questi comportamenti ebbero a loro volta l’effetto di incrementare le capacità e le prestazioni di quei pochi privilegiati studenti.   
Tale effetto è naturalmente riscontrabile anche nelle comuni situazioni della vita quotidiana, le profezie che si auto avverano giocano un ruolo cruciale nella strutturazione delle interazioni sociali e nella formazione delle impressioni. Le aspettative presenti nella mente di un individuo andranno a predisporre nell’interlocutore, risposte coerenti con dette attese le quali finiranno per confermare l’ipotesi di partenza in cui l’interazione ha avuto inizio.
L’elemento importante da sottolineare è la natura dinamica di questo processo il quale ha connotazione di costruzione e modellamento rispetto alle relazioni in funzione delle proprie aspettative.
Il tema della costruzione della realtà a partire dai propri atteggiamenti e aspettative è molto importante e apre ad un tema relativo alle narrazioni nelle quali si è inseriti: basti pensare a quello che viene definito etichettamento di secondo livello. Nel momento in cui ad una persona viene dato un’etichetta la stessa attiva implicitamente una serie di atteggiamenti propri di detta categoria. Esempi di tal fatta si trovano in ambiti clinici così come nei casi di devianza.      
Prendiamo ad esempio un caso in ambito clinico: quello che si nota è inizialmente una asimmetria di potere vi è dunque un medico, un clinico investito di una certa conoscenza ed un individuo che si rivolge allo stesso. All’interno della costruenda narrazione, parlare di “paziente” ha un esito diverso rispetto all’uso del termine “cliente” così come se si parlasse di “semplice interazione tra interlocutori”. Nel momento in cui si parla di “paziente” la persona assume un ruolo che prevede determinate condizioni tra cui la sofferenza.
Diventa in questo senso piuttosto importante il lavoro del clinico soprattutto per quanto concerne la diagnosi, egli deve essere molto attento a non attribuire delle etichette diagnostiche che poi possano realmente tradursi in un comportamento problematico.
Un meccanismo molto simile è riscontrabile nei casi di devianza sociale: alcune persone diventano definitivamente trasgressori, proprio nel momento in cui la società li riconosce come tali, ovvero quando ricevono il messaggio che in un certo senso “appartengono alla categoria dei delinquenti”: a quel punto conoscono tutto il repertorio che compete tale ambito e ad esso si ispirano.
Tutte queste riflessioni fanno parte di nuovi paradigmi i quali pongono nuove domande ma propongono anche nuove risposte, il tema dunque rimane assolutamente aperto ed avrà bisogno di nuovi studi.

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